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Yayoi Kusama – Artista giapponese

Lo scorso weekend sono stata alla mostra “Love. L’arte contemporanea incontra l’amore” alla Permanente di Milano.  Le opere portano la firma di  Andy Warhol, Tom Wesselmann, Gilbert & George, Francesco Vezzoli, Tracey Emin, Marc Quinn, Francesco Clemente, Joana Vasconcelos e della mia adorata Yayoi Kusama. Proprio di lei parlerò in questo post. Ho acquistato alla libreria della Permanente una sua autobiografia “Infinity Net”: i suoi quadri mi hanno così tanto incuriosita che ho voluto approfondire la storia che c’è dietro ma soprattutto le esperienze di questa donna.

Scrivono di lei: “Ho scoperto l’arte di Kusama a Washington, diversi anni fa. Capii subito di trovarmi di fronte a un talento unico. Le sue opere giovanili, prive com’erano di un inizio, di una fine, di una forma e di una definizione, sembravano voler sottolineare il carattere infinito dello spazio. Oggi, con grande coerenza, produce forme capaci di proliferare come batteri e di sigillare la coscienza all’interno di bianche membrane, è un’arte autonoma, l’esempio più autentico di iperrealtà. Quest’immagine di inusuale bellezza fa pressione sui nostri organi percettivi con un’insistenza terrificante”.

Yayoi Kusama nasce a Matsumoto nel 1929, da una famiglia dell’alta società che per oltre un secolo aveva gestito piantagioni su vasti appezzamenti di terra. Frequenta una scuola superiore femminile ed è proprio in quel periodo che comincia ad avere allucinazioni visive ed uditive: vede un’aura intorno agli oggetti e parla spesso con piante e animali. Dopo queste apparizioni corre sempre a casa e le immortala sul suo album da disegno. “Interagivo e conversavo con una varietà di spiriti, a cominciare da quello delle violette. E dal mondo della realtà finii così per immergermi totalmente nello sfavillante regno delle illusioni”. All’epoca la psichiatria non è ancora accettata come oggi (si suppone), quindi deve lottare da sola contro l’inquietudine e le allucinazioni da cui spesso viene sopraffatta. Non c’è nessuno con cui lei possa parlarne e argomentare la relazione uomo-donna è ancora assolutamente tabù, tutto ciò che riguarda il mondo adulto è avvolto nel mistero, non ha alcun tipo di contatto con i suoi genitori e la società. La pittura è così la sua unica possibilità di stare al mondo, tutto nasce per lei da un istinto primitivo in risposta a questa sofferenza. Nel 1959 decide di trasferirsi a New York, dove crea i suoi primi lavori della serie Infinity Net, delle grandi tele lunghe quasi una decina di metri. Negli anni 60 si dedica all’elaborazione di nuove opere d’arte, per esempio Accumulatium o Sex Obsession. A partire dal 1967 realizza numerose performance provocatorie e osé dipingendo con dei pois i corpi dei partecipanti o facendoli “entrare” nelle sue opere.

Ritorna in Giappone, durante i primi anni 70, dove inizia a scrivere poesie e romanzi surreali:

L’ossessione delle violette

Un giorno all’improvviso la mia voce

si trasformò nella voce d’una violetta.

Un tuffo al cuore, trattenni il fiato

Ditemi: è tutto vero,

Ciò ch’è accaduto oggi?

Fuggirono le violette sulla tovaglia,

Si arrampicarono sul mio corpo.

Una per una, si attaccarono.

Violette, fiori di sumire.

Giunte fin qui a portarmi via l’amore.

Cresce il pericolo, vedete?

E stetti ferma, in piedi, intorno a me il profumo. Guardate! Anche il soffitto, le colonne.

Si attaccano le violette,

Inafferrabile giovinezza.

Non parlatemi ora, fiori di sumire.

Ridatemi la voce ch’è divenuta voce di violetta.

Non voglio crescere, non ancora.

Un anno ancora, ve ne prego.

Lasciatemi così.

Nel 1993 produce per la Biennale di Venezia una sala degli specchi con inserite delle zucche, che diventano un suo alter ego. Ha collaborato con due grandi case di moda: Louis Vuitton e Marc Jacobs, sono infatti stati realizzati numerosi capi d’abbigliamento/accessori che riportano gli ossessivi pois, molto grandi e colorati. Da questo momento Kusama inventa altre opere su commissione, per lo più fiori giganti e piante colorate. Le sue opere sono esposte in vari musei importanti a livello mondiale in mostre permanenti, come per esempio il Museum of Modern Art di New York, Walker Art Center nel Minneapolis, al Tate Modern a Londra e al National Museum of Modern Art di Tokyo.

Vive ora per scelta personale in uno ospedale psichiatrico, a Tokyo e continua a disegnare da lì.


“Quando mi sentivo triste, salivo sull’Empire state Building. In cima al più alto grattacielo esistente all’epoca sentivo che ogni cosa era possibile. Un giorno, lì a new York, avrei stretto tutto ciò che volevo in quelle mie mani vuote. Il mio impegno per attuare una rivoluzione nell’arte era tale che sentivo il sangue ribollire nelle vene, e dimenticavo la fame.”

Go girls! – A vista d’occhio

Sabato 4 Marzo 2017 nel tardo pomeriggio sono andata all’evento “A vista d’occhio”, vicino a Bergamo nello spazio Polaresco, per una serie di incontri, esposizioni d’arte e concerti. Un percorso prettamente femminile, in cui le artiste esponevano i propri punti di vista sul mondo con la propria arte. C’è chi lo ha fatto attraverso le fotografie, chi attraverso la musica, chi attraverso la danza, chi con sculture, installazioni, disegni, e quello che accomunava tutte era la voglia di farsi conoscere, di scambiarsi parole e sorrisi.

Alcuni progetti presentati sono ancora in fase di esecuzione, ad esempio quello di Dina Nerino. Dina con il suo “all’ombra della perfezione” racconta attraverso delle fotografie la battaglia quotidiana tra il proprio alter ego e la perfezione o meglio il modello di perfezione a cui la società fa riferimento. Attraverso l’utilizzo di una gamba di plastica perfetta, si immortala in alcuni luoghi simboli di Milano, in cui la donna solitamente è vittima di stereotipi, in cui deve risultare necessariamente perfetta.

Ho apprezzato moltissimo questo suo lavoro, probabilmente perché il tema della perfezione e dell’insicurezza generato da questa mi è sempre stato a cuore. Il grado qualitativo più elevato, tale da escludere qualsiasi difetto è spesso identificato con la massima compiutezza e necessariamente crea nella vita di tutti i giorni insicurezza nella persona. L’essere perfetto in quanto tale non esiste, e questa assolutezza con cui molte volte ci scontriamo non fa parte della quotidianità, o perlomeno non è una priorità su cui dobbiamo basare la nostra vita. Ma molte volte, alla donna in particolare, viene richiesto. Ci viene richiesto di essere belle, in forma, mamme perfette, mogli perfette, amanti perfette, lavoratrici perfette, ci viene chiesto di essere delle organizzatrici seriali, in modo da essere tutto questo appena elencato.

Ma cos’è perfetto? Chi stabilisce le regole della perfezione e soprattutto tutto quello per cui il Femminismo si è battuto dove è andato a finire? Mai come in questo periodo mi sento contro corrente, mai come in questo periodo mi sento lontana dall’ideologia femminista che si sta portando avanti. Forse il tutto viene riassunto nella frase o come potrei definirlo lo slogan: “we should all be feminists”.

Si è vero, ma non come lo stiamo facendo. Sono combattuta perché da una parte rendere il femminismo pop/popolare, potrebbe fare avvicinare più donne, ma dall’altra parte facendolo diventare alla portata di tutti (la moda per intenderci, la fashion week per intenderci) fa snaturare il movimento, fa perdere le questioni di base che da sempre e per sempre saranno al centro di esso: pari diritti tra donna e uomo, coltivare la propria intelligenza e avere a cuore questioni, tematiche e problemi comuni che le donne riscontrano quotidianamente sul lavoro, nella famiglia, nella società. L’indossare una maglietta con quello slogan fa di te un esempio, a maggior ragione se sei personaggio pubblico e donna, e hai il dovere di dare testimonianza di quello che il giorno prima hai asserito semplicemente indossandola.

Ma sabato mi sono messa un po’ in pace con questa questione, vedendo come delle ragazze e il loro operato alla fine poco centrano con tutto questo mondo. A loro basta far sentire la loro voce, il  loro punto di vista, interessa solo rendere pubblico quello che per anni hanno fatto crescere dentro di se e buttarlo fuori, attraverso provocazioni, immagini forti, oggetti, disegni.

Un’altra opera che ho potuto vedere allo spazio Polaresco è quello di Pamela del Curto: “Non hai fatto un cazzo”. Davanti a voi vi troverete una culla al cui interno vi è un magnete rotto. L’artista mi ha spiegato che nel momento in cui rompi un magnete, nei punti di rottura si crea una forza repulsiva e il messaggio che lei intende mandare inserendolo nella culla è: l’apparente immobilità è pronta a esplodere da un momento all’altro. E’ così che ho visto queste ragazze, hanno raccolto informazioni, hanno vissuto esperienze positive e negative e sabato è stata data loro la possibilità di esplodere. Ognuno vive la propria vita, ma sa che nel momento in cui si presenta una situazione spiacevole ci sarà sempre quella solidarietà femminile pronta appunto ad esplodere, pronte ad unirsi per portare avanti le proprie ragioni, insieme e solo come noi donne sappiamo fare.

Per comprendere bene il tipo di evento a cui ho presenziato le o-pere di Susanna Tosatti ve lo spiegano perfettamente. Con il suo lavoro “le belle pere” ha costruito oggetti e disegnato ciò che meglio esprime il mondo femminile. Ha utilizzato una delle parti più importanti della donna, quelle che la distinguono e che rendono il corpo femminile bellissimo: il seno.

Con quest’ultima opera mi ricollego al discorso iniziale espresso attraverso le fotografie di Dina: il corpo perfetto, l’identità femminile e cosa vuol dire essere donna. Essere donna non significa adattarsi a uno schema imposto dalla società ma non vuol dire neppure rinunciare alla propria femminilità per avvicinarsi al mondo maschile: pretendere l’uguaglianza non deve portare all’essere identici, in quanto vorrebbe dire soffocare le proprie peculiarità. Bisogna smettere di identificarsi con i limiti che la storia ha imposto al sesso definito “debole” da chi forse ne temeva le potenzialità, e di sentirsi in difetto se non si accontenta lo schema antico: se non si hanno figli, se non si ha un compagno o se si è scelto di farsi guidare da un cuore libero che impone regole diverse da quelle a cui ci hanno abituato, bisogna andare avanti senza preoccuparsi, sicure delle proprie scelte.

I benefici dello yoga

Pratico yoga Hatha ormai da tre anni, è diventato fondamentale per me e se non riesco ad andare a lezione mi esercito tranquillamente a casa. Mi sono avvicinata a questa disciplina quando ho lasciato definitivamente danza classica, cercavo qualcosa che allentasse  le tensioni fisiche ed emotive senza generare altro stress. Anche io all’inizio non ci credevo e non pensavo di poter avere così tanti benefici e che potesse piacermi quanto la danza classica, mio grande amore, invece mi sono dovuta ricredere.

In cosa mi ha aiutata?

  • Ha ridotto moltissimo la mia ansia. Sono e sarò sempre un soggetto iper ansioso, ma ero arrivata ad un punto in cui la mia ansia era troppo invasiva, mi disturbava quotidianamente, non facendomi affrontare con serenità situazioni anche banali. Con lo yoga sono riuscita a controllarla e a gestirla nei momenti di stress. Ovviamente non sto dicendo che è la cura definitiva, scientificamente provata, ma attraverso la pratica di tecniche di meditazione e di respirazione, ho imparato a gestirmi.
  • Aumenta l’equilibrio, la concentrazione e la flessibilità. Se si ha un corpo flessibile e forte ci si sente molto meglio e sviluppare l’elasticità previene lesioni muscolari. Con lo yoga si impara a portare attenzione al controllo della postura in ogni momento della giornata, correggendo poco alla volta i più comuni difetti posturali. Concentrarsi solo su se stessi, lasciando fuori il quotidiano, ti fa rendere effettivamente conto di quello che non va, di quello che il tuo corpo sta somatizzando. Più diventiamo consapevoli più avremo chiarezza mentale.
  • Disintossica l’organismo. Dato che tutte le Asana, le posizioni dello yoga, vengono fatte coordinando anche il respiro, tutte le tossine del nostro corpo vengono buttate fuori, portando così alla disintossicazione.
  • Aiuta a controllare il peso, associato ovviamente a un’alimentazione corretta. Con lo yoga si impara a controllare la propria mente e a conoscerla e di conseguenza quegli obbiettivi che ci siamo prefissati (come perdere peso, smettere di fumare, ecc) risultano essere più facili da raggiungere e da mettere in pratica.
  • Migliora la qualità della respirazione. L’utilizzo delle tecniche di respirazione facilita la gestione degli attacchi di panico e ansia, portando a un rilassamento mentale, oltre ad aumentare le prestazioni sportive.
  • Fa bene al sistema cardiocircolatorio.  Abbassa la pressione sanguigna e rallenta i battiti del cuore.

Se volete praticarla a casa vi metto una playlist che solitamente ascolto e vi metto anche una serie di immagini con le posizioni che più mi aiutano, soprattutto per iniziare al meglio la giornata.

 

 

Se volete capire e provare cosa vuol dire fare yoga, su youtube trovate il canale Yoga with Adriene. Per un mese avete ogni giorni degli “esercizi” da fare. A me è piaciuto tantissimo 😀

   

 

oppure

 

 

Insomma  che ne pensate? Lo praticate anche voi?

 

5 giorni tra Israele e Palestina

Non è stato un viaggio facile, ma credo che entri tra i paesi più belli che fino ad adesso ho visitato.

Mentre ero in aereo per tornare a casa pensavo: non riesco bene a inquadrarli, come popolazione e come Paese, non riesco a definire una loro caratteristica comune, una loro identità. Sono diversi tra loro, ma non solo d’aspetto, sono proprio culturalmente uno l’opposto dell’altro e secondo me è questa la meraviglia di quei luoghi, ci sono delle contrapposizioni che sono talmente tanto visibili che ti spiazzano. Non parlo solo di religioni diverse, qui si va ben oltre, hanno un vissuto, una storia che veramente tocchi con mano. Ammetto che in determinate parti del viaggio ho avuto paura, ci siamo trovati in situazioni anche abbastanza pericolose, che ti fanno sempre però rendere conto che la guerra, la povertà non sono poi così lontane da noi. Sono molto consapevoli di avere “sorry, big big problems here”, parole che più e più volte mi sono sentita dire da gente del posto che abbiamo conosciuto, quasi come se volessero scusarsi, come se volessero farti capire che ci sono delle problematiche che non li fanno vivere con serenità. Forse tutto gira intorno alla parola tolleranza, che etimologicamente vuol dire avere un atteggiamento di rispetto o di indulgenza verso comportamenti, idee o convinzioni altrui, anche se in contrasto con le proprie. Ma ancora una volta in questi paesi si va ben oltre, ci sono faccende politiche e religiose del passato e del presente che rendono difficile l’accettazione, soprattutto nel quotidiano.

L’itinerario che abbiamo deciso di impostare è stato frutto di varie letture di articoli e post sui blog, e di amici che già c’erano stati. Abbiamo ovviamente evitato le zone ad alto rischio, scoprendo con mano che anche quelle che vengono definite “tappe turistiche” si possono a loro volta rivelare “pericolose”.  Sono partita giovedì 2 Febbraio con Abi e siamo atterrati a Tel Aviv, circa 4 ore di viaggio, aspettatevi mille domande dalla polizia aeroportuale per il visto d’entrata. Abbiamo noleggiato una macchina israeliana a Tel Aviv, consapevoli di non poter andare in zone palestinesi con quel mezzo, in quanto l’assicurazione non copriva gli eventuali danni.

Arrivati a Tel Aviv…

Non me la aspettavo assolutamente così, è una città di mare molto giovanile, con tantissimi locali in cui bersi un cocktail o passare una serata a chiacchierare con della musica in sottofondo. Noi abbiamo prenotato con Booking e abbiamo soggiornato in una casa veramente carina, lo stabile è appena stato ristrutturato, si chiama Rena’s house. Per la sera proprio sotto casa c’è un locale  in cui potete bervi qualcosa e fare amicizia con la gente del posto (sono persone molto amichevoli). Se avete a disposizione una giornata intera, dovete assolutamente andare nella vecchia Jaffa, dove c’è uno dei porti più antichi del mondo, sarete circondati da signori che giocano a backgammon prendendo il sole e da centinaia di gatti che aspettano cibo e coccole. Qui trovate anche il più grande mercato della città, il Caramel Market, in cui potete pranzare con le specialità gastronomiche del posto: hummus, falafel e pane artigianale. La  passeggiata del lungomare è perfetta per una piacevole camminata, molto popolare anche per fare jogging. Ci sono tanti ottimi ristoranti, caffè e gelaterie, noi ci siamo fermati allo stabilimento Banana Beach: potete noleggiare tavolino e sedia e bervi qualcosa in spiaggia, o addormentarvi come la sottoscritta.

Per il senza glutine sono veramente molto aggiornati e preparati sull’argomento, unica accortezza, dato che non tutti parlano la lingua inglese e cimentarsi nell’ebraico è una cosa abbastanza impossibile, scaricate dal sito Celiachia Israele la traduzione in cui descrivete le vostre allergie alimentari.

Io ho fatto colazione\pranzato\cenato con molta tranquillità in questi posti:

  • Aroma: è una catena di coffee shop e hanno delle opzioni senza glutine, tra cui il pane e una brioche al cioccolato (molto buona).
  • Hummus Abu Hassan: Piattone di hummus di ceci con delle loro spezie, veramente buono! Solitamente viene accompagnato dalla pita ma essendo celiaca sigh non ho potuto mangiarla.

  • Meshek Barzilay: locale molto bello, vegetariano con le alternative senza glutine segnalate sul menù.

  • Sabich o Johnny’s Falafel: non abbiamo bene capito quale sia il vero nome, ma sono riuscita a mangiare il sabich. Fate conto che la maggior parte dei piatti sono vegetariani, segnalate invece che avete bisogno del senza glutine, ci metterà un pochino di più a prepararvelo e fategli usare posate diverse per la preparazione.

Vi metto anche la mappa di vari posticini che avevo trovato in internet che fanno il senza glutine, non li ho provati direttamente ma dalle varie recensioni che ho letto sembrano essere sicuri.

Da Tel Aviv ci siamo poi spostati a Gerusalemme (con la macchina noleggiata). Abbiamo soggiornato qui e ci siamo trovati molto bene, in centrissimo ed era veramente molto grande l’appartamento.

Descrivere Gerusalemme è quasi impossibile, è una città magica, in ogni angolo c’è qualcosa per cui fermarsi, ci sono luoghi che dovete assolutamente vedere non per forza come luoghi di culto.

Il cuore di Gerusalemme è la Città Vecchia divisa in 4 quartieri: Ebraico, Armeno, Cristiano e Musulmano. Tra le sue mura vi sono i luoghi significativi delle tre maggiori religioni del mondo: il Muro Occidentale, sacro agli Ebrei, la chiesa del Santo Sepolcro, e la Cupola della Roccia sul Tempio del Monte. 
  • Haram el-Sharif o Monte del Tempio- Spianata delle Moschee, in cui si ergono la Cupola della Roccia, una cupola d’oro che rappresenta uno dei primi esempi di architettura islamica, e la Moschea al-Aqsa.

  • Muro del pianto chiamato anche Muro Occidentale o in ebraico Kotel. Fatto costruire da Erode duemila anni fa durante il rinnovamento del Secondo Tempio di Gerusalemme. Chiunque può avvicinarsi e inserire un bigliettino contenente una preghiera tra le fessure delle grosse pietre, l’importante è che uomini e donne vi accedano da lati diversi.

  • La Basilica del Santo Sepolcro. Questo è il sito più sacro alla religione Cristiana e ricorda il luogo in cui Gesù è stato crocifisso e sepolto. La chiesa originale fu costruita dall’Imperatore Costantino nel IV secolo e ampliata dai Crociati nel 1149. E’ la Chiesa delle Chiese in quanto in essa si riuniscono ben sei diversi gruppi cristiani: i Greci ortodossi, i Francescani, gli Armeni, i Siriani, i Copti e gli Etiopi e tutti quanti condividono lo spazio e le rispettive tradizioni. Per arrivarci potete percorrere la via Dolorosa, bellissima da fare: sono le prime 10 tappe che Gesù ha fatto prima di essere crocifisso. Anche se non siete credenti è assolutamente da fare, per le vie piene di negozi\bancarelle e per la varietà di gente che veramente vi lascerà a bocca aperta.

Ma se volete veramente vedere cos’è Gerusalemme dovete o passare dalla Porta di Damasco, una delle sette porte e a mio giudizio la più bella, qui c’è sempre un grande via vai per i numerosi mercati che ci sono, io ne sono rimasta affascinata, è un luogo fuori dal mondo, oppure andare al mercato Mahane Yehuda. Ci sarei stata per ore e ore. Colori, persone, cibo, fantastico!

Ricordatevi sempre dello shabbat per gli ebrei, è la loro festa del riposo, si svolge il sabato ma già dal venerdì alle 14 si ferma il mondo. Non scherzo, spengono le luci, i locali per la maggior parte sono chiusi, ma soprattutto non ci sarà in giro nessuno. Infatti per il pomeriggio di venerdì e la giornata di sabato proprio per questo ci siamo avventurati verso il Mar Morto (Ein Bokek per fare il bagno) Masada e il Monastero di St George (zona palestinese, vicino a Gerico).

Non potete saltare queste tappe: i paesaggi che vedete sul Mar morto non li vedrete da nessun’altra parte, ma soprattutto dovete andare a Masada, è un’antica fortezza situata a 400 metri e se siete coraggiosi potete fare il Sentiero del Serpente a piedi, ma dato che era sotto al sole e già le temperature erano abbastanza alte abbiamo optato per la funivia. Meravigliosa e c’è una vista mozzafiato.

Altra cosa da fare assolutamente a Gerusalemme, i biglietti però dovete acquistarli prima, è “La notte spettacolare”. Lo spettacolo si svolge nella parte del cortile della Cittadella della Torre di Davide, quindi è meglio vestirsi pesanti (ricordo che le sere di Gerusalemme possono essere anche molto fredde). Lo show dura circa 45 minuti e celebra i 4000 anni di storia di Gerusalemme, attraverso suoni, musiche e immagini che vengono proiettate sulle mura della città. Credetemi è emozionante e rimarrete a bocca aperta.

Ecco qui, questo è stato il mio viaggetto, ovviamente non sono dei territori tranquilli, non ho menzionato Betlemme, perché abbiamo avuto una brutta esperienza, ma sono dei luoghi pieni di storia e come dicevo all’inizio del post ci sono molte situazioni irrisolte che potrebbero creare situazioni spiacevoli. I soldati sono tanti e alle volte vi stupirete dalla quantità di esercito che gira. I ragazzi\e hanno la leva obbligatoria, quindi vedrete diciottenni girare tranquillamente per la città con zaino e mitra in mano, ammetto che fino all’ultimo giorno non sono riuscita ad accettare questa cosa e mi sentivo parecchio a disagio. I check point israeliani sono tanti, ma i controlli sui turisti sono abbastanza veloci. Ovviamente se volete andarci siate consapevoli del tipo di viaggio e di posto che state visitando.

Cosa ne pensate? Ci siete già stati?